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Quando era solo Brad   di Marcello Ciozzani   |   Pubblicato il 31/12/2015

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E’ da quanto allenava a Butler che gli rubo gli schemi. Siamo entrambi dell’Indiana, è ovvio che si seguano le squadre del nostro stato. Appena potevo mi guardavo le partite di Butler. Tra noi allenatori il nome di Brad era noto da anni per quanto stava facendo nel torneo NCAA”. Gregg Popovich, 20/03/2015

Per Brad Stevens, coach trentanovenne di Zionsville, Indiana, il vero battesimo NBA è avvenuto alla sua settima partita da head coach in quel di Miami. Partita punto a punto contro i campioni NBA uscenti e 0.6 secondi sul cronometro. Serviva uno schema, ma non uno schema qualsiasi, uno che permettesse di prendersi un tiro rapidissimo, o come più probabilmente pensava il coach di Miami, un tap-in rapido a poca distanza dal canestro. Con la sua calma quasi imbarazzante per un debuttante, il giovane Stevens disegna sulla lavagnetta quello che per almeno una giornata sarà la copertina di SportCenter (programma sportivo di punta di ESPN).

Mentre tutta Miami è concentrata a difendere il pitturato il neo bianco verde Gerald Wallace scaglia con precisione chirurgica un passaggio che attraversa il campo e raggiunge Jeff Green, ala dei Celtics dal rendimento a volte indecifrabile, nell’angolo opposto: giusto il tempo per la palla di toccare i polpastrelli di Green, far attivare l’orologio dei 24 secondi, rilasciare la palla di fronte alla difesa ormai disperata di sua Maestà Lebron e...ciuff. Nothin’ but net.
Boston 111 - Miami 110. Brad Stevens 1 - Erik Spoelstra 0.

Da qui in poi è stata una piccola marcia trionfale per l’enfant prodige dell’Indiana, specie se si parla con gli addetti ai lavori. Il giovane Brad ha centrato i Playoff con un anno di anticipo, è sopravvissuto a cambiamenti nel roster che avrebbero fatto tremare i polsi anche ad un consumato veterano del mondo NBA, tutto questo con ancora 3 anni di contratto a proteggerlo da eventuali scossoni.
Oggi sappiamo che Brad Stevens è un professionista meticoloso, un lavoratore instancabile, un coach credibile, ma quel che non ci è del tutto chiaro è come sia nato questo nuovo piccolo fenomeno del professionismo, il quale, per inciso, ha 5 mesi in meno di Kevin Garnett che non allena, ma gioca ancora.

Zionsville, 1976
Sembra quasi una coincidenza fin troppo scontata che il nostro Brad sia nativo proprio dell’Indiana. La patria del basket, il luogo dove è ambientato Hoosiers (Colpo Vincente) cult movie per gli appassionati di palla a spicchi, la patria dell’Università dell’Indiana sulla cui panchina siedeva il leggendario Bob Knight, la patria persino della più trascurabile Indiana State di Larry Joe Bird, the Hick from French Lick, aka The Legend, aka The Great White Hope, aka Merry F***in’ Christmas Chuck e tanti altri ancora.

All’età di otto anni Brad si alza alla mattina e mentre fa colazione con latte e cereali si guarda le partite registrate in televisione, così, tutti i giorni senza esclusione. Poi, una mattina, mentre è a scuola il padre gli monta un canestro nel vialetto di casa, così la smette di intrufolarsi a casa del vicino per usare il suo canestro.

Colazioni, partite di basket e tiri dopo scuola, così tutti i santi giorni fino all’età del liceo nel locale Zionsville High. Brad non ha problemi a far parte della squadra, ne diventa una sorta di leader e di recordman (peraltro su Youtube si trova qualche video delle sue gesta cestistiche liceali), ma in uno stato come l’Indiana dove tutto è basket, è un po’ complicato emergere per davvero.
A questo punto, Brad non si fa troppe illusioni: una borsa di studio per meriti sportivi nelle grandi università che contano è improbabile, meglio ripiegare su qualcosa di più modesto, un Division III College. DePauw University. Mai sentita, vero?

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Brad Goes To College
Sarà per la giovane età, sarà perchè non è possibile rimanere sempre uguali a sè stessi, ma la versione di Brad Stevens cestista collegiale è quanto di più lontano dall’attuale possa esistere.
Un suo ex compagno di squadra, pari età, racconta:”Non credo che gliene importasse molto della difesa, anzi per lui c’era solo l’attacco e non è che la passasse molto”.
Per essere più precisi, il Brad universitario conservava la stessa passione per il gioco e le sue sfaccettature, ma la sua natura competitiva lo rendeva poco uomo di squadra e molto smanioso di emergere. Le prime due stagioni gli diedero una certa dose di ragione. In un paio di circostante arrivò a segnare 24 punti: insomma, non una macchina realizzativa, ma un giocatore solido che punta al canestro.
Al terzo anno, però il coach di DePauw, nota che con l’attuale assetto della squadra non si va da nessuna parte; nel frattempo sono arrivate giovani leve di uno o due anni più giovani di Brad e questi ragazzi sembrano meritevoli di una dose cospicua di minuti in campo, a discapito di Brad.
Brad non la prese troppo bene.
Cercando tra gli aneddoti di fine anni 90 emerge la storia di questo scrimmage tra i veterani ed un mix di rookies e sophomores. Brad è a capo della squadra dei veterani: di comune accordo con i suoi si decide di non avere alcuna pietà dei giovanotti. Sono tutti convinti che sia la volta buona per far sì che il coach cambi i suoi piani e conceda molti più minuti ai “vecchietti”.
Ogni parziale viene dominato ed è tutto un pullulare di cinque alti e trash talk verso le giovani leve, finchè il coach non mette fine alle ostilità. Brad guida i suoi verso il coach con sorriso smagliante e faccia di chi è pronto per dire:”Visto, coach? Non sarà ora di far giocare noi e far uscire loro dalla panchina?”. Il coach, però, è di tutt’altro avviso e liquida Brad in questo modo: ”Come pensi di aiutare i tuoi compagni più giovani facendo così? Non sei qua per umiliarli sei qua per aiutarmi a farli crescere”.
Brad probabilmente rimase turbato dalle parole del suo coach, ma non essendo un ragazzo stupido, memorizzò la lezione che tornò quasi certamente utile anni dopo nella gestione del problematico, già citato, veterano Gerald Wallace.
La carriera cestistica universitaria di Brad si concluse nell’anonimato, con pochi minuti in campo e poca gloria personale, ma non tutto degli anni a DePauw fu da buttare; ad esempio erano chiare a tutti le doti analitico/numeriche di Brad ed ultimo, non ultimo, al campus di DePauw Brad conobbe Tracy, giocatrice di calcio e futura signora Stevens. Che la cosa potesse funzionare tra i due, lo si capì sin dagli esordi quando Brad al terzo appuntamento propose a Tracy un’uscita con annesso viaggio di un’ora e mezza di macchina per andare a vedere una partita di basket liceale.
Only in Indiana....

Corporate Brad
Assodato che Brad non sarebbe mai diventato un cestista professionista, era arrivato il momento di mettere temporaneamente in soffitta la passione per la palla a spicchi e affrontare il salto nel mondo del lavoro.
Di conseguenza, se sei di Indianapolis e non hai grosse chance di emergere con il basket o con la 500 miglia di Indianapolis, c’è un’altra cosa che puoi fare: bussare alla porta del colosso farmaceutico Eli-Lilly.
Brad iniziò con uno stage estivo e sin da subito ben impressionò i suoi superiori per la sua meticolosità e la grande sensibilità numerica dimostrata. Al momento di offrire una posizione di lavoro stabile, grazie alla sua mente matematica, scalzò candidati provenienti da prestigiose università d’oltreoceano come Harvard, NorthWestern e Stanford.
Da quel che ci è dato sapere i compiti di Brad erano di varia natura: reportistica delle vendite, analisi sui principali clienti delle case farmaceutiche (assicurazioni sanitarie e ospedali), attività di marketing, analisi di dati.
Pur oscillando tra la crisi finanziaria di inizio secolo e l’11 Settembre la posizione di Brad sembrava stabile, con una discreta paga e buone prospettive di carriera. Al contempo però, oltre a lavorare sodo Brad aveva scoperto che l’azienda organizzava un torneo di pallacanestro aziendale che coinvolgeva anche i dipendenti del circondario ed ovviamente Brad si iscrisse. Brad non aveva mai fatto mistero della sua passione con i suoi colleghi e forse, più di una volta, aveva espresso il desiderio di dare seguito a quanto iniziato anni addietro.
La carriera aziendale nell’area marketing di Eli Lilly di Brad Stevens durò meno di un anno quando lui e Tracy decisero di intraprendere un doppio salto mortale.

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Coach Stevens
Per inseguire i loro sogni Brad e Tracy decisero, praticamente, di prosciugare il loro conto in banca. Brad lasciò Eli Lilly per diventare assistente voltontario non retribuito nel coaching staff di Butler University, una piccola università che faticosamente stava lasciando l’anonimato cestistico per intraprendere un percorso di crescita che da lì a pochi anni sarebbe stato a dir poco tumultuoso. Tracy decise di tornare agli studi di Giurisprudenza, allontanandosi da Indianapolis e con la possibilità di vedere Brad solo nei weekend.
Di colpo Brad aveva mollato la sicurezza del posto nel marketing per coltivare la passione per il basket e tirare a campare con un lavoro da Applebee’s (catena di ristoranti americana simile alla nostra Roadhouse Grill) e vivere nel seminterrato di un amico.
Quel che si portava appresso Brad non era solo una sconfinata passione per il basket, le ore di video-registrazioni di partite del passato visionate più e più volte, ma la sensibilità analitico-numerica, la capacità di utilizzare i tool statistici e l’idea di associare statistica e basket.
Eravamo a cavallo tra il 2000 ed il 2001 e da una scelta folle nel giro di un decennio quelli che sembravano ostacoli insormontabili divennero porte che una dopo l’altra iniziarono ad aprirsi: alla prima stagione si aprì la posizione di assistente allenatore perchè il titolare venne arrestato per prostituzione e possesso di droga e da lì iniziò la rincorsa fatta di prove tangibili e scatti di carriera fino al 2007 quando, all’età di 31 anni, diventò capo allenatore.
Se la storia finisse qua sarebbe già sufficientemente sorprendente: una perfetta storia americana di un giovane che si ingegna e sacrificando la sicurezza raggiunge il successo, ma per capire bene il balzo stratosferico effettuato da Brad Stevens bisogna arrivare a grandi falcate al 5 Aprile 2010.
L’unica sosta nel viaggio fino a quel giorno di Aprile del 2010 va fatta per citare un nome: Ken Pomeroy. Questo nome non dirà molto a tanti appassionati di basket, ma per Brad Stevens e la leva di giovani coach che popolano la NCAA vuol dire il mondo intero.
Ken Pomeroy è un metereologo che ha rivoluzionato le statistiche applicate alla pallacanestro (grazie al suo sito KenPom.com) e sopratutto ha inserito una variabile molto importante nell’analisi delle attitudini di gioco dei vari giocatori: il ritmo con il quale la squadra gioca (ossia, se predilige le rapide transizioni, se gioca possessi elaborati, etc).
I servigi del metereologo sono ben pagati (al netto delle varie aggiunte il pacchetto base costava dai 7.500 ai 10.000 dollari), ma a metà degli anni 2000 il suo nome era diventato una sorta di argomento ricorrente alla ipotetica macchinetta del caffè dei giovani coach dell’NCAA.
Perfino il grande maestro di Duke e coach del team USA, coach Mike Krzyzewski, dovette riconoscere il valore e l’importanza dei modelli introdotti da Pomeroy ed invitarlo per una lunga chiaccherata al suo show radiofonico che conduce regolarmente.
Una volta abbracciati gli strumenti analitici di Pomeroy era praticamente generata l’immagine che tutti noi abbiamo di Coach Stevens oggi giorno, che è la somma di tutti i mattoncini della sua esperienza cestistica: lo studio maniacale dei video d’archivio (qualcuno dice che nel tempo libero raggiunga le 12-14 ore giornaliere) sommato alla grande attenzione per le statistiche avanzate. La testimonianza di queste due componenti del lavoro di Stevens può essere riassunta in un aneddoto secondo il quale, durante il suo periodo a Butler, si rivolse ad uno dei suoi giocatori per parlargli della partita del giorno dopo, più o meno con queste parole:”Domani marcherai questo ragazzo, Kent Bazemore - attualmente un giocatore chiave degli Atlanta Hawks-. Ecco, sebbene lui sia mancino, sappiamo che partirà in palleggio sulla sua destra il 75% delle volte. Tienilo a mente”.
Dopo aver presentato le statistiche avanzate, Stevens e Butler University ed il sopracitato Mike Krzyzewski, siamo arrivati inevitabilmente al famoso 5 Aprile 2010 al Lucas Oil Stadium: finale del tornero NCAA, Butler University contro Duke. Davide contro Golia.
In una sorta di pazzesca coincidenza consumatasi entro i confini dell’Indiana, la stella del college meno prestigioso, ossia Gordon Hayward (nativo proprio di Indianapolis), esattamente come avvenne nel 1979 a Larry Bird, “bucò” clamorosamente la partita più importante della sua carriera con un poco lusinghiero 2-11 dal campo.
Per due soli punti l’università più detestata d’America, Duke, si laureò campione. Coach K sempre più nella leggenda, coach Stevens alle porte del paradiso. O forse no.
Butler aveva in ogni caso vinto: le richieste di immatricolazione schizzarono alle stelle, coach Stevens venne invitato da David Letterman, ricevette la telefonata del presidente Obama e poi tante altre cose.
Fino al 3 Luglio 2013. Da qui in poi, non c’è più mistero: è il nostro coach, quello che da quando lo conosciamo ha sempre la stessa faccia, che di rado perde le staffe, che di rado si esalta, che non si scompone anche se gli rivoluzioni il roster dal giorno alla notte, che armato di lavagnetta ti farà vincere tante partite, magari disegnando una giocata decisiva.

Una gioco da eseguire in 0.6 secondi, ad esempio.

Quando era solo Brad   di Marcello Ciozzani   |   Pubblicato il 31/12/2015
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